venerdì 9 giugno 2017

Un'invincibile estate di Filippo Nicosia


Un ossimoro, una vita che nasce e una che muore, un senso di apparente respiro, regola l’esordio di un romanzo che sin dai primi passi incanta, invadendo il lettore di un senso di solitudine dentro una identificazione ben specificata.
Il protagonista, nasce e cresce, dialoga e mira e intanto si confronta con avvenimenti che hanno peso e rilevanza storica.
Le lacrime in un bisticcio tra gioia e dolore, un percorso che arresta il fiato in un dipinto grottesco: la posizione e la descrizione di un corpo riverso, colori presi a prestito che imprimono agli occhi il tocco violento dell’istante e il successivo arrestarsi del respiro.
Da qui tutto si svolge in azione cauta, mite, un play rallentato nella fretta di avvolgere una pellicola destinata verso una archiviazione che d’emozione in dolore volge e chiama.
Nei dialoghi il lettore vede scorci della vita passata che acuiscono la solitudine e forse un dialogo scarno tra padre e figlio, un non conoscersi, un pudore dato dalla cultura del luogo.
Il luogo natio, il tentativo di filtrare le radici in un dialogo stringato e veloce, fa strada in alcuni tratti estrapolati e sgrassati.
Particolari taciuti, vite separate, emergono in un confronto diretto dopo l’epilogo di una vita passata a Messina, una vita che incontra l’altra vita a Roma: un fratello!
Evidente la sottolineatura di due condizioni ben distinte, la rivendicazione a sé di un pezzo di pelle che ha l’odore di casa, un voler respingere quella solitudine respirata dai pori ormai spenti del padre dentro l’ultima dimora e, il rifiuto, il senso di negazione di un legame reciso per volontà e un non mai più insieme, una litote che non nega la violenza di una postura diretta dal gesto sprezzante.
Un amaro rientro nell’amata città e uno sguardo vuoto a contemplare il nulla di una luce buia dentro un cuore che ha smesso di sperare.
Un cuore che ripercorre in una analisi cruda un ieri da “Adulto” un ragazzo cresciuto solo dopo la morte della madre con un padre via via sempre più violento e indirizzato a indirizzarlo verso la laurea, un sogno, un orgoglio da esibire anche se i pugni, le cinghiate, optional ai tanti sacrifici.
Ma tutto ha fine quando alla violenza si specchia una violenza esasperata che metterà fine, un punto , ai punti in testa del padre, a monito!
Una Sicilia solitaria, permeata da eventi luttuosi, storici, descrizioni quasi a caso ma d’impatto, l’autore sottolinea usando colori spenti in una luce dalle tante voci di una città che incontra un’altra città, altra realtà tra cacofonie e dissensi, tra verità e negazione e intanto tutto scorre in qualche accenno di dialetto e un barcamenarsi in passione e logica in una atmosfera dal gusto azzurro, cielo meraviglioso e uno stretto invitante costante nel pensiero in un andirivieni ballerino: il futuro, il lancio dalla vecchia vita alla nuova, una rappresentazione di orme traballanti in un terreno vergine, il ripetersi di un rito che nel passato ha ancora un futuro.
Una scrittura fluida, dai colori mai spenti che si alternano freddandosi nei limiti imposti da distanze e eventi e pensieri opprimenti.
Un discorso chiaro, arricchito dalla retorica che fa risaltare lo stile, i tratti conosciuti e guardati con occhi distratti, una voce che fa ascoltare uno spaccato che è comune e occultato da reticenze e inutili ideologie in una estate che si riempie di un uomo alla scoperta di sé sfiorando e colmando una anima che in parole silenziose raggruma la potenza dell’essenza.


Rita Vieni





Ricordi di un vicolo stanco

   Uno strano ingordo silenzio, vedo passarmi accanto. Esso beve dalla mia acqua e si disseta al freddo di un dicembre placido perché non...